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Il limite come risorsa

scenari urbani


Come per i centri storici, gli unici interventi oggi ammissibili per tutelare il paesaggio debbono far riferimento al restauro e alla manutenzione. Restauro e manutenzione sono quasi la stessa cosa, con la differenza che se si facesse sempre manutenzione il restauro non sarebbe necessario. La discussione sulla metodologia operativa da adottare nel restauro (anche per i centri storici) è sempre aperta. Le tecniche non sempre sono appropriate, gli esecutori degli interventi non sempre sono adeguati. Troppo forte è stato il cambiamento per ritrovare le abilità e competenze degli antichi mestieri, così come trovare esperti di manutenzione (o di restauro) che siano tecnici specializzati gratificati dal lavoro che svolgono.



La manutenzione è la più grande sfida del presente e del prossimo futuro. Non solo perché le città non crescono, non solo perché stanno cambiando i modi di vivere e di abitare, non solo perché i modelli di espansione edilizia e di allargamento dell'urbano sono obsoleti, ma soprattutto perché non si può continuare come abbiamo fatto fino ad ora. Le risorse sono limitate e si stanno esaurendo. L'acqua scarseggerà sempre di più. Manca il petrolio. L'aria è diventata preziosa perché quella non inquina ed è rara.



La sfida è fra due opposte tendenze. La prima è continuare a operare come se le risorse fossero infinite (così come continua a fare buona parte dello sviluppo urbano), ma le conseguenze sarebbero drammatiche. Il vuoto urbano, le cosiddette aree dismesse, continuano ad allargarsi, ma la crisi economica che sembrava allontanata dopo la chiusura dei cancelli delle fabbriche, si sta riproponendo con il vuoto creato dagli uffici e da altre zone sedi di aree terziarie.



L'altra tendenza invece è quella di considerare le risorse finite o in fase di esaurimento. Come c'è (o ci sarebbe dovuto essere) un limite all'espansione urbana, così anche le risorse non possono essere considerate illimitate. Ragioniamo su questa ormai ovvia constatazione e non facciamone un dramma. Proviamo invece a considerare il limite come una risorsa. Proviamo, come facevano gli antichi greci, a rispettare il limite. Aver pensato che l'espansione urbana potesse continuare all'infinito è stato un grande errore; consideriamo dunque la positività del limite.



Alcuni esempi. Il confine aveva segnato il rapporto delle città con la campagna. Il confine era un limite. Segnava l'inizio e la fine sia della città che della campagna. Costituiva un traguardo tra ambiente naturale e ambiente artificiale. Anche la campagna era arte-fatta dall'uomo, come la città. Fin tanto che sono state due identità-entità diverse l'una era indispensabile all'altra. Distrutto il confine, la campagna è stata urbanizzata e la città non esiste più. Ora tutti considerano necessario porre limiti all'urbanizzato. Tutti considerano ciò che rimane della città del passato e della campagna una grande risorsa.



La mancanza d'acqua imponeva precise strategie di compatibilità fra la presenza umana e l'armonia naturale. L'acqua era capace di dare la vita usando gli umori sottili dell'aria, della terra, del sole. Molte civiltà sono sorte e sono progredite proprio in virtù dell'acqua limitata. Oggi sprechiamo l'acqua, stiamo sprecando le falde freatiche e progettiamo di de-salinizzare quella del mare. Un tempo si misurava il grado di civiltà di una nazione dalla quantità di acqua consumata; più alto era il consumo e maggiore era la civiltà. Oggi allo stesso modo si fa riferimento al risparmio d'acqua per misurare la moralità di un popolo.



Allo stesso modo il territorio è un bene, in un certo senso, irriproducibile. Si è parlato e si continuerà a parlare di aree dismesse, cercando in ogni modo di recuperarle. Ma in che modo e per quale utilizzo? Al cemento? Alla nuova edificazione? Non ci si accorge che se limitiamo queste aree a essere ciò che sono il più delle volte (zone di archeologia industriale, nel migliore dei casi, o aree che debbono ritornare a essere quello che erano), si può reinserirle nell'organizzazione delle città. Anche i grandi agglomerati industriali fanno parte del paesaggio. Sono anche loro archivi, come le campagne abbandonate. Dobbiamo riutilizzarli. Questo sta già avvenendo in molte zone; tuttavia il loro recupero non è inserito in un disegno complessivo, non fa ancora parte del progetto che dovrebbe caratterizzare l'assetto urbano e territoriale del nostro tempo.



Nella zona industriale della Ruhr in Germania, c'è il più importante esempio del limite che diventa risorsa. Lo sfruttamento di questa regione carbonifera è stato intenso quanto accelerato, devastante quanto emblematico della modernità e delle potenzialità insite nello sviluppo industriale. Sinonimo di ricchezza, la Ruhr, quando il carbone è finito, è diventata terra desolata. Tutto ha un limite e nella Ruhr lo si è oltrepassato rendendo fragile e povero l'intero territorio. Si è così fatta la scelta di trasformarlo in un grande parco; non solo in un grande parco di archeologia industriale in cui gli ex opifici, immersi nel verde, possono svolgere tutte le funzioni possibili e immaginabili nei prossimi anni, ma anche un parco in cui elaborare, sperimentare nuove fonti energetiche. E se oggi la Germania può programmare l'uscita del nucleare, in tempi non brevi chiaramente, lo si deve anche alla ricerca e allo sviluppo di fonti di energia rinnovabili e nuove.



Il mantenimento di ciò che esiste, opportunamente rifunzionalizzato alle più svariate esigenze (dai luoghi deputati per il parco, al museo, all'auditorium per congressi e fiere, alla stessa produzione industriale) è arricchito dalla presenza del prato elaborato e dal ritorno dell'acqua. L'incontro degli elementi che hanno formato e rappresentano tuttora la vita (la terra e l'acqua) segna il presente e il futuro. Il parco, nella sua accezione urbana di territorio, può ritornare la componente che qualifica, l'elemento che suscita invidia, che altri territori prima o poi imiteranno.



Il limite è una risorsa, una grande risorsa che dobbiamo saper rivalutare; tale analisi ci consente di ri-fondare (o più modestamente) di ri-organizzare la città e di salvaguardare il paesaggio. Ci consente di rifiutare l'imposizione del consumo (del territorio) e dello spreco (delle risorse); ci consente di fissare le coordinate di una giusta e corretta programmazione urbanistica del territorio e della città.  


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