top of page

Il progetto del paesaggio 1/2

parte 1 di 2


Il paesaggio ha molte interpretazioni e molti interpreti. Non è ancora chiusa la vertenza sul centro storico e centro antico che già si preannuncia un altra querelle. Paesaggio o ambiente naturale? La differenza non è modesta. Il "paesaggio" è opera dell'uomo, l'ambiente naturale, per chi crede, è opera di Dio. La natura, si dice e si sa, è natura; il paesaggio è cultura, ha specifiche valenze filosofiche, antropologiche, sociali e appunto culturali. Certo, anche naturalistiche. In Italia, lo si può affermare con cognizione di causa, l'ambiente naturale non esiste. Non esiste nel senso che l'uomo nel corso dei secoli e nella sua azione quotidiana ha costruito (sfruttando o addomesticando o utilizzando la natura) il paesaggio "archivio della storia dell'uomo".



Il paesaggio non appartiene tanto alla sfera della creatività, quanto a quella della manutenzione. E del restauro inteso quale restituzione.  



Le ricerche sui beni culturali e ambientali mostrano la magnificenza originaria dei luoghi, ma la loro estensione e il loro progressivo restringimento e consumo. 



Mostrano spesso quale fosse l'essenza di una cultura del verde che nel Novecento (almeno in Italia) siamo stai del tutto incapaci di esprimere sia a livello privato (i parchi delle regge sono stati realizzati fra Sette e Ottocento, i giardini ereditati vengono lottizzati), sia a livello collettivo (non si fanno più i giardini pubblici che abbellivano le città dello stato unificato). Gli stessi "parchi nazionali" realizzati mentre si distruggevano parchi e giardini privati, sono numericamente assai modesti rispetto agli altri paesi europei. Eppure, la crescita oggi, soprattutto quella legata alle nuove tecnologie, quindi la crescita della qualità, non si manifesta più nei luoghi tradizionali, nelle metropoli costruite dalla società industriale, bensì in quelle parti o zone in cui l'ambiente possiede una qualità ed è ancora in grado di qualificare l'esistenza di chi lo abita.



All'interno stesso della società proiettata verso un consumismo sempre più esasperato, verso uno spreco sempre più insensato, si chiede un rapporto ecologico più corretto con l'ambiente naturale. Il fabbisogno di natura aumenta con l'aumentare del tempo libero, con l'esigenza di evadere dagli avvelenamenti quotidiani, con l'urgenza di qualificare le proprie condizioni di vita, anche se poi, forse per mancanza di un progetto alternativo, si finisce quasi sempre per continuare a consumare questo stesso ambiente come qualsiasi altro prodotto.



Il rapporto uomo-natura è fissato in modo inequivocabile all'interno della seconda legge della termodinamica, che è la legge dell'entropia. Essa afferma che materia ed energia possono essere trasformate in una sola direzione, cioè da uno stato disponibile a uno indisponibile. Da uno stato di ordine a uno stato di disordine. In breve, tutte le volte che si crea una apparenza di ordine, questo avviene a spese di un maggiore disordine dell'intorno. La quantità di energia totale dell'universo rimane costante, ma l'entropia totale è in continuo aumento. Detto in altre parole; aumenta l'energia non disponibile (la quantità di energia che non è più possibile utilizzare) che corrisponde a ciò che viene comunemente chiamato inquinamento. Sotto questa luce, si capisce perché e quanto sia difficile coniugare lo sviluppo (quasi sempre coincidente con  l'aumento di entropia) con la salvaguardia dell'ambiente.



L'ipotesi progettuale tesa a realizzare un ambiente\parco esteso a tutto il territorio non edificato contrasta con le scelte attuali. Si dice: a tutti piacerebbe vivere in un parco (come a tutti piace vivere in una villetta unifamiliare con l'orticello), però le esigenze economiche e produttive impongono altre scelte territoriali. Dove si mettono le industrie? Dove si localizzano le discariche? Il business dei rifiuti ha le sue prerogative. Il che vuole dire condannare progressivamente tutto il territorio al degrado senza neanche aver provato a stabilire costi e ricavi, a ipotizzare possibili riconversioni produttive; senza avere verificato quali benefici anche economici, oltre che sociali e culturali, si possono trarre da un assetto territoriale concepito e organizzato come se fosse un parco.



Il degrado è una alterazione\trasformazione di per sé non irreversibile, ma superabile attraverso interventi di manutenzione, interventi tesi al riassetto e restauro del territorio e dell'ambiente alterato. Dove ora c'è la periferia informe, le fabbriche vuote, le strade congestionate, i depositi umani, le discariche di ogni tipo e sostanza, c'era una terra coltivata o alberata che sino a cinquant'anni fa era ancora libera da elementi incongrui.

Era ancora campagna, prato, bosco.



Quanto rimane di questo territorio libero dev'essere analizzato, studiato e progettato. Non certo per occultarlo con nuove edificazioni, ma per leggere i segni, le tracce, di un'orditura e di una conformazione storica che l'insipienza dei pianificatori o la ferocia dell'abusivismo hanno tentato di cancellare. Per poi estendere le ricerche sulle parti abbandonate e su quelle che stanno per esserlo. Facendo attenzione, con l'aiuto di un catasto ottocentesco o dei primi del Novecento, ci si accorge, come in un libro giallo, che la traccia diventa un indizio, porta alla scoperta di situazioni  remote, intrecciate e sedimentate, che consentono di interpretare il territorio per ciò che rappresentava, i valori s'innesca un processo che può far riscattare il territorio.



Si tratta di attribuire anche i margini, alla periferia, come alla zona industriale, un senso e un valore formale analoghi a quelli del centro storico e delle zone di territorio non costruito. Questo è il progetto del territorio\parco il modo per affermare un preciso desiderio che finora non siamo riusciti ad appagare. 

4 visualizzazioni
bottom of page