La camera ottica 2/3
- angelolanzetta
- 22 lug 2019
- Tempo di lettura: 3 min
parte 2 di 3
La nostra responsabilità è di dare ordine ai frammenti che ci sono stati lasciati, perché abbiano ancora un significato o ne assumano uno nuovo; monumenti e edifici storici devono essere tali per la loro valenza interiore e significativa, non per la loro vita puramente storica.
Anche nell'arte la percezione del tempo e dello spazio è mutata notevolmente con lo sviluppo della società moderna. Nel 1603, in un periodo di complessi dibattimenti filosofici sulla liceità di talune immagini, sulle gerarchie dei generi in pittura o sul ruolo del disegno, un certo Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, scriveva: "in pittura valent huomo è chi sappi dipingere bene et imitar bene le cose naturali" . Caravaggio era infatti noto per il vivido realismo e per il rifiuto dell'idealizzazione; una posizione artistica rivoluzionaria per quei tempi. La pittura diveniva una sorta di "fotografia a-sensoriale" che si preoccupava semplicemente di riprodurre fedelmente, attraverso un accurato e ingegnoso sistema di illuminazione della superficie, i personaggi e la vita del tempo, senza uno scopo simbolico nascosto e recondito.
Tale accezione cambia totalmente in soli due secoli; tutto ha inizio con il pittore Caspar David Friedrich, il quale, attraversando la prima metà dell'Ottocento, ha un presentimento del fatto che i rapporti tra le distanze cominciano a mutare.
Personaggi, uomini e donne, quasi sempre di spalle, osservano la vicenda del paesaggio come se il quadro fosse una camera dentro cui si fissa l'immagine, potendone variare la scala di percezione. Il quadro diviene così la camera ottica della macchina fotografica con la quale il pittore immortala nei propri quadri non più solo le pure e semplici figure che compongono la realtà, ma l'essenza ed i sentimenti che la rendono viva e che ne colorano la propria essenza. Un suo contemporaneo addirittura, il pittore inglese Frederick Church, rivela nei suoi quadri tutta la potenza della natura, eliminando la presenza umana dalle sue composizioni per concentrarsi sulla natura in tutta la sua purezza.
Friedrich comunque, figura importante del romanticismo, esprimeva nei suoi quadri stati d'animo come solitudine e desolazione; nelle sue opere risulta sempre evidente la natura spirituale del paesaggio, spesso interpretato nei suoi aspetti più malinconici; solitarie distese d'acqua, paesaggi innevati immersi in una luce strana e inquietante.
Come Friedrich, anche Turner, grandissimo pittore inglese incompreso durante la propria esistenza, seppe cogliere nei suoi acquarelli e nei suoi oli, in colori tenui e luminosi, tutta la magia della luce, del colore e del movimento, dimostrando nella parte finale della propria carriera lo studio e il particolare interesse per il conflitto degli elementi della natura. Conflitto esistenziale forse con la stessa natura del pittore; conflitto degli elementi che in seguito Pollock trasformò in esternazione a-spaziale ed a-temporale del proprio essere, togliendo e tagliando quei legami comuni e globali fra "rappresentazione" e "rappresentato" .
Nei suoi quadri Friedrich accentua la relazione con questo infinito, un infinito perseguito nel paesaggio, ma costruito attraverso l'interiorità, che lo porta alla distruzione di tutto quanto è inutile per porsi il problema della scala delle cose. Sente che qualcosa sta mutando, così da richiamare silenziosamente all'ordine.
Si combatte una guerra eterna contro il tempo. Tuttavia ogni rimozione di quanto prima esisteva, per opera di ciò che esiste attualmente, va considerata un progresso nella conoscenza.
Friedrich sfrutta la scala mentre la adotta: ogni cosa, anche la più piccola, concorre alla rappresentazione del divino. Il concetto giottesco della rappresentazione personale della divinità, dotata di una propria forma non stereotipata, ma concreta e quasi umana, diviene qui rappresentazione simbolica della propria esistenza e permanenza nella natura che circonda ogni singolo individuo, diventando così una sorta di atto finale verso cui far tendere la propria esistenza.
Egli è cosciente dell'ineliminabile cadenza del tempo e delle trasformazioni, ma cerca, un orizzonte altrettanto coerente del già stato. Le trasformazioni infatti non lo intaccano, come non lo intacca il passato.
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