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Il progetto del passato 2/4

parte 2 di 4


Facendo una piccola digressione storica, possiamo asserire che il restauro nasce a metà dell Ottocento con Viollet-le-Duc, autore fra l'altro dei celebri, quanto discussi, interventi di restauro a Notre Dame di Parigi, nonché autore di una trattatistica che ha definito un metodo preciso di intervento. Quante diatribe ha suscitato. Ruskin grido allo scandalo: Giù le mani dai monumenti , il restauro è tutta una menzogna . D accordo, Viollet-le-Duc è un temerario. Consolida quello che c'è (e lo fa con grande competenza, frutto di ricerche e di analisi rigorose, di studi e di disegni eccellenti), ma costruisce ex-novo anche quello che potrebbe esserci stato (che però non c è). E lo ri-progetta come l'avrebbero disegnato al tempo in cui il fabbricato è stato realizzato.  



Regola non eludibile; prima di affrontare qualsiasi intervento di restauro, bisogna conoscere. Ci si deve impossessare dei criteri progettuali che hanno determinato l'opera architettonica. Quando il restauratore è riuscito a far proprio il progetto e a sviscerare i caratteri costruttivi e tipologici, decorativi e strutturali, svelandoli nella lor o forza espressiva, allora e solo allora, non soltanto Viollet-le-Duc, si può progettare il restauro. E un operazione non facile. Viollet-le-Duc si specializzò nel gotico e finì per scambiare tutti i monumenti come monumenti gotici dell Ille de France. Però il rilievo accurato dell'esistente, le analisi approfondite, come i confronti con interventi coevi, gli studi accurati negli archivi, costituiscono il punto di partenza per qualsiasi intervento. Nel convincimento che restaurare equivale a restituire.



Nell'Italia da poco unificata, il restauro assunse un significato negativo, non categorico come in Ruskin, ma comunque da mascherare con l'interpretazione artistica. Da un capolavoro in rovina può anche nascere un altro capolavoro che sicuramente non è più quello di prima. Più si differenzierà dall'originale e meno sarà considerato falso.



La creatività dell'intervento quale antidoto all'opera del falsario è durata a lungo. Nel Sei-Settecento all'Algardi o al Bernini o ad altri sommi scultori venivano affidati reperti romani per trasformarli in integre quanto barocche sculture. Sul restauro, o meglio, sulla conservazione, c'erano state ampie discussioni nello stato Pontificio al momento delle razzie napoleoniche. La ricostruzione, per quanto non identica, rimaneva fedele ai canoni classici, tali da non alterare l'identità, il carattere del monumento. Fu l'ondata neo-medievale di fine Ottocento a sollecitare la ricerca nel Medioevo, o dell'età dei comuni, di ciò che rimaneva dell'architettura romanica o gotica, re-inventare parametri murari con mattoni faccia a vista, merli guelfi e ghibellini, decori in rilievo o ad affresco, non tanto cancellati dal tempo e dalle stratificazioni quanto mai esistiti. 



Restaurare un centro storico equivale al ripristino delle parti mancanti o sostituite o pericolanti di un monumento. Non è un atto immorale . Non è neanche un'operazione di imbalsamazione. I confini dei centri storici si sono perduti da oramai un secolo. E le città che ancora li possiedono, sono urbanisticamente equilibrate. Si presentano in modo diverso. Hanno mantenuto la loro identità.



Il ripristino costituisce una parte tutt'altro che secondaria del restauro. Tanto più se il restauro riguarda l'urbano, le periferie, l'ambiente naturale. Tanto più se il restauro è inteso quale intervento che restituisce la struttura urbana alterata o la natura offesa o la campagna diventata terra abbandonata in attesa delle future cementificazioni.



Ecco allora che il restauro urbano, oltre al consolidamento e alla ripulitura da patine e polveri e agli opportuni ripristini, diventa opera tesa a  restituire il luogo danneggiato. La ricerca del come era quel luogo prima degli interventi di abbattimento e\o tombamento e\o diradamento e\o sostituzione è più semplice e al tempo stesso più complessa rispetto a quella del singolo monumento. E più semplice in quanto la documentazione iconografica e fotografica risulta spesso maggiormente consistente. I catasti napoleonici o borbonici fino alle mappe delle guide novecentesche, nonché il repertorio delle foto amatoriali e professionali, consentono la lettura oggettiva dell evoluzione di un luogo. Più complesso risulta invece il progetto di ripristino urbano.



I confini o perimetro del centro storico sono ormai materia di archivio, anche se ci si è dovuti limitare allo spazio racchiuso dall'ultima cerchia di mura. Non si è potuto andare oltre. Il territorio storico non poteva essere misurato e catalogato. Lo sviluppo della nuova edilizia era troppo immanente, troppo coinvolgente, trenta-quaranta anni fa, per poterlo rilevare. E così la campagna è diventata la terra di coltura del cemento.



Ad uno spazio non corrispondente alla realtà si è sovrapposto un tempo altrettanto difforme dal tempo specifico di ogni città e territorio storico. Il centro storico è diventato elemento\struttura\condizione per ri-fondare la città che, nel frattempo, è diventata sempre più aggregato urbano. Periferia.



La chiacchera del convegno doveva essere sostituita dalla concretezza dell'intervento operativo. Purtroppo, le questioni spaziali sono rimaste pressoché irrisolte nell'ambito degli strumenti urbanistici. La questione "tempo" non è stata neppure affrontata, mentre il tema del centro storico è rimasto emarginato e, in molti casi, ormai del tutto accantonato. Ovvero; ritorna come argomento polemico solo quando si vuole ficcare al suo interno un'architettura decisamente moderna, segno del nostro tempo.



Eppure il fallimento dei moderni aggregati urbani dovrebbe far riflettere sul ruolo che il centro storico può ancora oggi esercitare. Il centro storico può ritornare ad avere un ruolo decisivo se si considera il recupero del tempo e dello spazio storico quale presupposto per rifondare la città del futuro. O più modestamente, l'avvio per curare la città del presente.  

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