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Il progetto del passato 4/4

parte 4 di 4


Il processo che i tecnici definiscono di terziarizzazione (le banche al posto dei caffè; gli uffici al posto degli alloggi) investe ormai la quasi totalità dei centri urbani. Come lo svuotamento dei centri stessi, ormai senza abitanti. Come l'invasione delle automobili, come l'aver reso privato lo spazio pubblico, come la colata di cemento che ha coperto la campagna. Fra i tanti cambiamenti succedutisi in questi trenta-quaranta anni, sintetizzabili nel passaggio da una società industriale a una in cui prevale l'attività terziaria, il dato emergente è il cambio dallo stato di inquilino a quello di proprietario. Diminuiscono clamorosamente i componenti del nucleo familiare e aumento in modo ancora più clamoroso il numero di proprietari di case. 



Gli interrogativi che il tema del centro storico ha posto in questi decenni sono rimasti pressoché gli stessi. Ma in questi anni è cambiato completamente il soggetto centro storico. Quel centro storico che tanto appassionò (in un senso o nel suo contrario) mentre l'organizzazione urbana imposta dallo sviluppo industriale incominciava a declinare, non esiste più. O meglio, non esiste più il suo contenuto. Anche la città, l'aggregato urbano che le si è formato attorno, non possiede la ricchezza che è ancora presente nel territorio rimasto agricolo. Ed è questo territorio storico che può diventare cardine e alternativa su cui attestare una diversa struttura urbana. L'assetto della campagna ritorna a essere determinate come lo fu quando la campagna era associata alla città.



Non si può pensare di ricostruire l'atmosfera e il contenuto dei centri storici che ancora si respiravano negli anni 60. Così come allora nessuno pensava di ritornare alle crinoline ottocentesche o ai tranvai a cavalli. Allora, negli anni 60, si voleva ampliare il campo della conservazione, passare dal singolo monumento al contesto storico più generale. Ora, mutate anche le condizioni esterne, il centro storico insieme alla campagna possono diventare, appunto, il perno di un assetto urbano e territoriale confacente la città del futuro. In questo senso il ripristino e\o restauro urbano diventa metodo progettuale per ri-fondare la città. 



La città e la campagna storica sono un luogo positivo, l'unico a esprimere ancora un futuro. Esse devono continuare a manifestare quel processo di conoscenza e di memoria (di tempo e di spazio) capaci di costituire il paradigma per ri-fondarelo stesso aggregato urbano che si è realizzato negli ultimi trenta-quaranta anni. 



E la periferia la zona che dev'essere omologata al centro storico e alla campagna e non viceversa, com'è avvenuto finora.



Per ritornare ad affrontare in termini appropriati il tema del centro storico, deve mutare l'approccio progettuale. Essendo in crisi lo sviluppo dei nuovi (o presunti moderni) aggregati urbani, una diversa e più appropriata lettura del tempo e dello spazio storico consentiranno di curare la città.



L'ipotesi del ripristino del rapporto fra città e campagna può trovare ulteriori argomenti a sostegno facendo riferimento al giardino rinascimentale. E' noto: in quel periodo l'imperativo divino di lavorare la terra si accoppiava alla nostalgia dell'Eden perduto e l'uomo, con il lavoro, riproponeva nella storia l'eternità del giardino celeste. Leon Battista Alberti fece comprendere come il nuovo paradiso (la villa) è tale non solo perché consacrato all'otium e allo svago culturale, ma perché lo spirito è arricchito dai frutti della terra, frutti ottenuti da un sagace lavoro. 



Il giardino del Rinascimento venne considerato il nuovo paradiso della mente e riflesso ideologico dell'immagine che la corte voleva dare di sé. Il valore della corte si misurava anche dalla qualità e dalla quantità dei giardini che possedeva. Il giardino città era rappresentato dalla campagna. Non sembri esagerato affermare che la fine del rapporto città\campagna è stato per la città l'equivalente per l'uomo della perdita dell'Eden. 

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